Esploso artisticamente negli anni ’90, ha praticamente messo la sua firma su ogni grande personaggio Marvel, non disdegnando (anzi!) qualche incursione nel mondo DC Comics: così l’abbiamo visto disegnare Spider-Man, gli X-Men, Ghost Rider, Moon Knight, Thor, Wolverine, Silver Surfer, Capitan America e Justice League, senza dimenticare i recentissimi cicli su Daredevil e Conan. Una vita al servizio del Fumetto, dunque, con risultati egregi, sempre mutevoli ma mai banali.
Siore e siori, diamo il benvenuto a Mr. Ron Garney, che ci ha gentilmente concesso questa intervista per la nostra rivista digitale, Sbam! Comics: potete leggerla scaricando liberamente il nr. 50 da QUESTO LINK. Di seguito, vi diamo comunque un anticipo…

Cominciamo dall’inizio. Raccontaci di te, della tua storia professionale.
Ciao a tutti. Sono diventato un professionista nel Fumetto dal 1988. Prima, sono stato studente universitario alla Southern Ct. University e mi sono laureato in Illustration graphic design, oltre ad aver fatto anche studi di Psicologia.

Quale fu la tua prima storia in assoluto per la Marvel?
G.I. Joe # 110

Nella tua storia professionale, quali sono i lavori più complessi che hai realizzato?
Beh, è difficile da dire per quanto riguarda le storie in sé. I lavori più complessi, per ragioni di composizione delle tavole, sono stati sicuramente quelli con le squadre di eroi. Per fare un esempio, se ci sono dieci personaggi in una sola pagina è complicato inserirli tutti in modo che, visivamente, il tutto sia piacevole. Un terzo dell’intera pagina sarà ricoperto di balloons, quindi bisogna far capire chi parla prima, quale direzione sta seguendo l’azione, ecc… E il tutto va ridotto in una pagina di fumetto di pochi centimetri!

Preferisci lavorare ricevendo sceneggiature dettagliate o ti piace avere più libertà di aggiungere “del tuo” alla storia?
Mi è sempre piaciuto lavorare su trame più aperte: è così che ho iniziato la mia carriera e questo mi ha dato più libertà di fare quello che volevo con le immagini, fare “avanti e indietro” incastrando riquadri e vignette… È il modo più divertente per raccontare storie.
Poi sono passato a trame più complete, nelle quali gli sceneggiatori volevano avere più controllo. Dovete sapere infatti che c’è stato un tempo (parliamo degli anni Novanta) in cui gli sceneggiatori venivano “fregati” dai disegnatori, i quali lasciavano fuori molti dettagli importanti che invece gli scrittori volevano: e questa è stata una cosa completamente sbagliata. Considerando questo punto di vista, quindi, ho capito il motivo per cui chi scriveva voleva avere maggior controllo possibile sulla propria storia.

Il tuo ciclo su Capitan America insieme a Mark Waid è oggi riconosciuto come uno dei passaggi fondamentali nella storia del personaggio: che cosa ti ricordi dell’epoca?
Hmmm, sentivo quanto fresche ed emozionanti fossero le nostre idee. Volevo che quella che stavo vivendo con Capitan America fosse un’avventura frenetica e costante, non solo in America ma in tutto il mondo. Un uomo senza patria (il titolo di una delle sequenze più intense del ciclo, Ndr) si è evoluto durante le varie conversazioni che ho avuto con Mark Waid: ed è stato l’aspetto più divertente, perché lavoravo a casa 24 ore al giorno 7 giorni su 7, e realizzare queste storie era un modo per viaggiare attraverso l’immaginazione.

La scena in cui Capitan America taglia il braccio del Teschio Rosso è diventata celebre…
L’idea è stata di Waid. Se non ricordo male, era il modo per separare il braccio del Teschio dal Cubo Cosmico. È stato un momento fantastico!

(La versione integrale dell’intervista e altre notizie su Ron Garney sono su Sbam! Comics nr. 50)

Roberto Orzetti