Per Asgard! Ma davvero serviva tutto questo casino? È passato qualche giorno dalla polemica scatenata su Facebook dalla pubblicazione della foto che vedete in apertura, ad opera di Francesco Matteuzzi: una (o magari anche più di una, ma non è questo il punto) libreria Feltrinelli ha piazzato questo cartello su uno dei suoi scaffali, onde invogliare le genti ad acquistare i fumetti. Anzi, no, le graphic novel. O forse… gli anime. Boh.
Ed è proprio su questa confusione semantica che si è scatenato il crucifige…
Lo stesso Matteuzzi definisce il cartello «una provocazione gratuita». Gli fa eco Marcello Toninelli con «qualunque cosa intendessero dire, l’hanno fatto male. Ma male proprio». Nei millemila commenti e condivisioni, c’è stato chi si è vivamente offeso dalla svalutazione del termine fumetti, chi ha tirato in ballo i toni radical-chic e il politically correct, chi ha condannato l’esterofilia imperante, chi è passato direttamente agli insulti e alla proposta di boicottare Feltrinelli (!) e perfino, ovviamente, chi ha scomodato l’eterna querelle destra/sinistra…
L’intento dell’anonimo estensore del cartello è chiaro: spiegare che quelli in vendita non sono fumetti (cioè cose banali, rozze e fetenti, pure un po’ da sottosviluppati…), no no!, sono ben altro: sono graphic novel, perbacco, ché chiamarle in inglese suona più figo ed è più chic! E sono pure nuvole parlanti, altroché! Anzi, perfino anime!
Ora, sorvoliamo sull’abominevole strafalcione riguardo appunto gli anime (che proprio non c’entrano nulla, come la metti la metti, ma evidentemente all’estensore di cui sopra facevano chic pure loro) e guardiamo il vero motivo del contendere, ovvero le altre due definizioni. Soprattutto la prima, che cade su un equivoco fondamentale e che sarebbe bello fosse chiaro nella capoccia di tutti: signore e signori, attenzione, il Fumetto NON È un genere! Il Fumetto è invece un mezzo espressivo, un medium, una tecnica narrativa, con una sua grammatica e una sua tradizione. Certamente, non un genere.
Ecco dunque che la graphic novel è semplicemente una delle possibili applicazioni di questa tecnica, così come lo sono la striscia umoristica, il racconto breve, la tavola autoconclusiva e molto altro.
Proprio come succede in altri ambiti, quando un artista può usare la letteratura per scrivere un romanzo, un racconto, una favola. O il cinema per realizzare un film, un documentario, una serie tv.
Ciascuna di queste cose può essere realizzata trattando un genere (eccolo), che sia horror, giallo, umoristico, noir o pincopallino, comunque trasversale alla tecnica espressiva utilizzata.
Quindi dire «questo non è un fumetto, ma un graphic novel», è come dire «questo non è letteratura, ma un romanzo» o «questo non è cinema, ma un film» o anche «Questa non è scultura, ma una statua». Semplicemente, un non-senso.
Più semplice è il discorso su nuvole parlanti: trattasi semplicemente di una delle tante definizioni, più o meno romantiche, più o meno azzeccate, che definiscono il Fumetto. Proprio come fanno la bellissima espressione Arte sequenziale (coniata da sua maestà Will Eisner), o le varie Spettacolo disegnato, Nona Arte o Mondo delle Nuvolette, per citarne qualcuna. Nuvole parlanti – che è poi il nome di una storica fumetteria – a noi di Sbam! è sempre piaciuto un sacco, tanto da utilizzarlo anche per la nostra rubrica su questo sito.
Tutto qua. Fine della lezione, non richiesta da nessuno, ma che ci è venuta voglia di scrivere per contribuire al dibattito. Ma anche, già che ci siamo, per provare a metterci dalla parte del libraio e del suo cartello. Strafalcioni a parte, perché ha scritto quel testo? A chi voleva rivolgersi? Qui sta il punto.
Un punto che – molto meglio di come avremmo potuto fare noi – ha ottimamente spiegato sulla sua pagina Facebook la valorosa Laura Mango, autrice di fumetti a sua volta, ma soprattutto con una lunga esperienza di lavoro in una grande libreria. Allora non resta che lasciare a lei la parola, con il suo punto di vista colto da entrambi i lati della trincea.
«Sono giorni che sto leggendo una ridicola polemica su questo cartello (…) Sembra che sia la più grande onta al mondo del fumetto fatta dalla sua nascita ad ora.
Adesso. Voglio essere molto sincera. Negli anni passati a lavorare nella sezione fumetti di una grande libreria, ne ho viste di ogni, in negativo e in positivo.
In negativo nel senso che, so che per noi amanti del fumetto, il fumetto è tipo l’arte suprema, ma per la stragrande maggioranza dei lettori generalisti il fumetto si colloca nell’oscuro campo delle letture dell’infanzia. Topolino, al massimo Tex. Fine.
Io ho dovuto faticare spesso, soprattutto nel periodo estivo quando solerti genitori venivano in libreria a cercare letture estive per i figli, per convincerli che anche i fumetti potevano essere una valida proposta. Non sapete quante volte mi è stato risposto “Ehi ma mio figlio è intelligente!”. Perché ovviamente se stai proponendo una cosa che ha delle figure, automaticamente è una lettura minore per gente che capisce poco o è molto indietro. Molte persone che vengono in libreria DAVVERO non collegano la parola fumetto alla parola graphic novel. Il fumetto è Topolino (sappiamo noi che è un fumetto comunque straordinario, ma ripeto non siamo noi appassionati l’unità di misura in una libreria generalista con pubblico generalista), la graphic novel oscuramente sanno che forse è andato allo Strega. Ma sì dai, quello simpatico romano, ce lo hai presente?
Il fumetto ha tanti nomi e più ne ha meglio è perché amplia l’immaginario di chi ne è sempre stato lontano e viene cercando in negozio i fumetti di Zerocarbone, quelli mezzi porno per ricordare i bei tempi andati, quelli che però signorina “appiccico le pagine tra loro che mio figlio non deve vedere la gente che si bacia”, quelli che “avevo letto su Internazionale che aveva vinto un premio grosso, ma è un fumetto e non lo voglio”, per non parlare della nonnina che piantò il caos perché un fumetto che parlava di malattia ai ragazzi era indecente che a quell’età non vanno bene quelle cose.
Questa è la clientela perché, ragazzi, questo è il mondo. Poi è vero che, anche se il mondo lo conosce molto meglio (fidatevi!) chi lo incontra tutto il giorno, questo cartello avrebbe potuto essere scritto meglio. Ma non mi sembra offensivo. Persino io avrei potuto scrivere una roba come: “E li chiamiamo solo fumetti!” e non perché non so che la parola fumetto contiene un mondo. Io so che per tanti non lo contiene e vogliono altre parole per aiutarsi a immaginare altro che non sia Topolino.
E onestamente mi sembra che ci si possa arrivare molto facilmente a questa conclusione se si smette di pensare a noi come al centro e non una parte del tutto».
Applausi.
Antonio Marangi