Probabilmente, era scritto nel destino. Un artista capace di entrare nel Guinness dei Primati con un record mondiale di velocità, realizzando la bellezza di 56 tavole in 48 ore di lavoro praticamente non-stop, non poteva che incrociare prima o poi la propria strada con quella del Velocista più iconico e famoso dei fumetti.
L’artista in questione è Carmine Di Giandomenico, alfiere dell’ondata di matite tricolori che ormai da qualche tempo presidia con grande fortuna le pagine dei comic books d’oltreoceano; mentre il Velocista – manco a dirlo – è Flash, personaggio che da sempre rappresenta una delle punte di diamante di casa DC, subito dietro la “sacra triade” composta da Superman, Batman e Wonder Woman.
L’incontro tra i due risale a un paio d’anni or sono in occasione dell’avvio dell’operazione Rinascita, coinciso con il rilancio in grande stile dell’intero universo supereroistico dell’editore americano: su testi di Joshua Williamson, il disegnatore abruzzese firma una delle versioni di Flash più convincenti e visivamente appaganti da molto tempo a questa parte, contribuendo a dar vita a una run apprezzatissima non solo dai lettori, ma anche dalla critica specializzata. Una corsa, purtroppo, interrotta con il numero 44, uscito ad aprile negli Stati Uniti, che ha sancito l’addio (ma speriamo si tratti invece di un arrivederci) di Carmine all’eroe di Central City.
Una brutta notizia per tutti i fan, ma anche una buona occasione per contattare il nostro e proporgli una nuova chiacchierata, esattamente quattro anni dopo la sua prima apparizione sulle pagine di Sbam! Comics (sul nr. 15, per la precisione, scaricabile liberamente da QUI).
Di seguito, invece, trovate un estratto della nuova intervista, che potete leggere integralmente (insieme a un bel mucchio di altro luculliano materiale supereroistico) su Sbam! Comics nr. 39, che trovate QUI.
Ciao Carmine, bentornato su Sbam! L’ultima volta che ci siamo sentiti eri al lavoro con Peter David sul rilancio del marvelliano X-Factor. Come e quando sei passato alla… Distinta Concorrenza?
Tutto è avvenuto molto in fretta e in modo assolutamente naturale. La DC mi ha contattato inviandomi una mail esattamente due mesi dopo che avevo terminato il mio ultimo lavoro per la Marvel. Mi chiedevano se fossi interessato a collaborare con loro. Indovinate un po’ che cosa ho risposto?
Ci racconti qualcosa della tua celebratissima run su Flash? Che tipo di emozioni, professionali e/o personali, ti ha trasmesso lavorare sul rilancio di una simile star del fumetto mondiale?
Responsabilità, rispetto, gioia, gioco. In una sola parola, VITA. Tutto questo è stato il mio percorso durato due anni su Flash, durante il quale mi sono divertito un mondo e ho rincorso non solo lui, ma anche me stesso. Ritrovando alla fine un Carmine che ha voglia di mettersi in gioco nei suoi vari universi e nelle diverse versioni di se stesso.
Nell’approcciare Flash, hai tenuto presente come fonte d’ispirazione qualche celebre matita del passato? Magari quella di un altro Carmine…?
Carmine Infantino (il disegnatore che nel 1956 diede forma grafica al moderno Flash, Ndr) è stata la mia guida. Non a caso, il mio Flash presenta nella sua raffigurazione precisi rimandi all’icona firmata dal suo creatore grafico. Una raffigurazione dove a far parlare il personaggio non è un’armatura, ma il corpo.
Una delle sfide più ardue per chi disegna il Velocista Scarlatto consiste nel superare la staticità delle immagini, conferendo il giusto realismo alla dimensione ipercinetica del personaggio. Come hai affrontato, e vinto, questa sfida?
Ho ragionato molto sui poteri di Flash e volevo imprimere un effetto diretto, sfuggente nelle pagine in cui il personaggio corre. Dove lo spazio viene piegato e distorto. Amplificandone gli effetti-luce, come scie che il lettore potesse seguire. Intendevo, insomma, renderlo un “fulmine”≠ nel vero senso della parola. La sfida è stata faticosa, visto che tutti gli effetti li ho realizzati io in prima persona, invece di affidarli al colorista. Questo perché tali effetti non andavano intesi come semplici decori, ma dovevano avere un preciso ruolo narrativo.
(Marco De Rosa)