Forte di un retaggio culturale e di una tradizione ormai storica, l’Italia ha fatto della produzione fumettistica in b/n un tratto distintivo: anzi, quasi un marchio, non registrato nei termini di legge, ma comunque “nostro”. Ed è proprio a questo tema che abbiamo dedicato l’ultimo numero di Sbam! Comics, la nostra rivista digitale che potete scaricare liberamente da questo LINK.

Tra gli artisti della Nona Arte tricolore, abbiamo scelto di incontrare Pasquale Frisenda, autore poliedrico esploso sotto l’ala protettiva di Ivo Milazzo con Ken Parker, e più in generale protagonista di una carriera vissuta tra i grandissimi nomi del Fumetto italiano.

Raccontaci di te: quando e dove nasce artisticamente Pasquale Frisenda?
La mia prima esperienza professionale arrivò con la collaborazione alla rivista Cyborg, alla fine degli anni Ottanta. Da lì in poi arrivarono impegni di lavoro sempre più costanti e significativi, come la collaborazione alla seconda serie di Ken Parker, avvenuta sulla pagine del Ken Parker Magazine di Parker Editore, e, diversi anni dopo, il passaggio alla Sergio Bonelli Editore, con Magico Vento e Tex.

Ci racconti come andò con Ken Parker?
Dopo la conclusione della storia fatta per Cyborg, venni a sapere che Berardi e Milazzo erano in cerca di disegnatori per la nuova serie di Ken Parker, e quindi, non senza incoscienza, provai a realizzare alcune tavole di prova e mandargliele. Per quanto ancora acerbe, furono comunque ritenute professionali, e in quel momento iniziò la collaborazione alla rivista. Fu un’esperienza particolare e decisamente impegnativa, anche come ritmo di produzione. I disegnatori selezionati erano molto giovani e quasi tutti esordienti, con davvero troppa poca esperienza per affrontare un personaggio narrativamente e graficamente complesso come Lungo Fucile. Il rodaggio fu lento, ma nel giro di poco tempo Ivo Milazzo assegnò ad ognuno di noi un ruolo, quello che più si adattava alle caratteristiche dei disegnatori presenti. A me toccarono le chine, perché, allora, ero forse il disegnatore che più riusciva ad avvicinarsi (pur con tutte le enormi differenze del caso) al tipo di tratto usato da Milazzo, in modo così da garantire una maggiore omogeneità alle storie, visto che spesso Milazzo interveniva per correggere o completare delle tavole o delle sequenze.

Dopo Lungo Fucile, il tuo secondo “pezzo forte” in Bonelli fu Magico Vento: come era cambiato l’artista Frisenda rispetto all’esperienza con Ken?
Magico Vento, per tanti aspetti, è stato forse il personaggio che più mi ha permesso di tirare fuori da me cose che da sempre mi appartengono: dalla reale storia del West agli aspetti più fantastici e orrorifici. Ho aderito subito e con convinzione allo spirito della serie, ci ho creduto e mi ci sono speso molto.
Se la collaborazione a Ken Parker è stata per me formativa, quella a Magico Vento (per cui ho realizzato oltre dieci storie) mi ha permesso di confrontarmi con me stesso e con le mie possibilità grafiche, cercando il più possibile di tentare segni e direzioni stilistiche diverse, anche stimolato dall’autore della serie, Gianfranco Manfredi, e dal curatore, Renato Queirolo. Così, anche se intanto avevo già intrapreso strade diverse, mi dispiacque molto la notizia della chiusura della serie, di un personaggio raro, con grandi potenzialità narrative e che aveva ancora molto da dire.

Nel frattempo arrivò Tex, con la mitica Patagonia, una delle migliori storie in assoluto del Ranger: puoi raccontarci qualcosa di questa esperienza?
Patagonia è stato un progetto molto stimolante, nonostante le non poche difficoltà da superare, a cominciare dal fatto che la storia si svolge nell’Argentina di fine ‘800, annullando così tutta la documentazione sul West che avevo già a disposizione. Fu difficile mettere a fuoco gli ambienti, naturali e non, le divise e le armi dei soldati, come anche i costumi e gli strumenti dei gauchos. Mi aiutai con due film e altra documentazione messami a disposizione da Sergio Bonelli stesso (che seguì passo passo la lavorazione del volume), il sostegno di Mauro Boselli e una fitta ricerca, proseguita per tutta la durata della lavorazione del volume, che durò tre anni.
Una svolta importante fu la scoperta del lavoro del pittore argentino Juan Manuel Blanes, che fu per me una vera bibbia da cui estrarre informazioni e dettagli. Molto impegno, ma poi, con il giudizio di Sergio Bonelli e il confortante riscontro tra i lettori, mi resi conto che lo sforzo fatto su ogni tavola era valso la pena!
In particolar modo, mi colpì l’inaspettato parere ricevuto da Sergio Toppi (considerarmi collega di uno come lui mi fa strano!), che sottolineò l’efficacia con cui, secondo lui, «erano state rappresentate le tribù dei nativi di quelle zone, che erano popolazioni molto povere e quindi complicate da rappresentare conferendogli un carattere di dignità vera e del fascino nei loro costumi, cosa più facile se fossero stati degli Incas». Detto da un autore come Toppi, un maestro nel ritrarre i popoli del mondo, fu un regalo enorme!

La versione completa di questa intervista, con molte altre informazioni su Pasquale Frisenda, è disponibile su Sbam! Comics 34.

(Roberto Orzetti)

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