Sbam-redattori durante l'intervista con Alberico Motta e Sandro Dossi

Alberico Motta e Sandro Dossi “interrogati” dagli Sbam-redattori

La Sbam-redazione ha avuto l’onore di ricevere la visita di Alberico Motta e Sandro Dossi: due artisti che durante la loro lunga carriera hanno collaborato per migliaia di pagine, finendo con lo “specializzarsi” sui testi il primo e sui disegni il secondo. Anche se ciascuno dei due ha spesso rivestito (e molto bene!) entrambi i ruoli. Quello che segue è un estratto dell’intervista che potete leggere integralmente su Sbam! Comics, la nostra rivista digitale gratuita, scaricando da QUI il nr. 12.

Raccontateci i vostri esordi…
Motta: Ho cominciato sui libri di scuola alle medie. Disegnavo delle mie storielle su blocchetti di carta a quadretti che conservo ancora. Non avevamo i soldi per comprare i giornaletti dell’epoca, quelli che riuscivamo ad avere ce li passavamo tra ragazzini. Io mi innamorai del Piccolo Sceriffo e dei personaggi di Jacovitti, i primi fumetti su cui mi sono formato.
Dossi: Ho frequentato per due anni la Scuola d’Arte ma senza mai appassionarmici. Così cominciai a lavorare per uno uno studio grafico chesi occupava di pubblicità, era la fine degli anni Cinquanta. E intanto guardavo i fumetti, mi piacevano molto.

Quando avete iniziato a pensare che la passione per il fumetto potesse diventare una professione?

La prima paginadi una storia di Geppo del 1975: "L'arca di Noè", testi di Alberico Motta e disegni di Sandro Dossi

La prima pagina di una storia di Geppo del 1975: “L’arca di Noè”, testi di Alberico Motta e disegni di Sandro Dossi

Motta: Un giorno vidi che su Chicchirichì, un mensile della Edizioni Dardo, pubblicavano illustrazioni per alcuni racconti, allora pensai di mandarne alcune mie. Parliamo della prima metà degli anni Cinquanta. Per combinazione, loro avevano il ragazzo di redazione che stava partendo per il militare e mi offrirono il suo posto, che dava la possibilità di essere in contatto con i grandi disegnatori. Dovevo intervenire sui disegni della EsseGesse, Capitan Miki o Grande Black! C’erano grandi autori come Carrara, Tarquini, Terenghi. Nel giro di un anno e mezzo imparai il mestiere e fui in grado di fare le prime storie scritte e disegnate da me. Il direttore Baglioni ne fu soddisfatto e mi disse di continuare. Mi furono affidate anche le copertine degli stessi Grande Black e Capitan Miki. Cominciai a collaborare con Sandro Angiolini, che disegnava per lo stesso Chicchirichì: aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse nel ripasso delle sue tavole. È stato allora che ho iniziato a guadagnare qualche soldino in più, anche se non parliamo di grandi cifre.

Dopo la Dardo, Alberico, sei tornato alla Alpe…
Motta: Sì, dopo questa esperienza sono tornato all’Alpe, dove mi è stato proposto di fare Cucciolo e Tiramolla. Così ho conosciuto Giorgio Rebuffi, che è stato il mio primo vero maestro. Anche se dovevo seguire il suo stile, e questo fu anche un male perché persi il contatto con quello che volevo fare di mio. Sono rimasto lì per tre o quattro anni. Lavorai per l’Alpe anche durante il servizio militare: nascondevo le tavole sotto le mappe…

E poi arrivò Bianconi…
Motta: Finito il militare ho conosciuto Pier Luigi Sangalli (qui la nostra recente intervista, Ndr) Mi disse che Bianconi stava cercando nuovi collaboratori. Io mi ero un po’ stancato dell’Alpe, dove i disegnatori erano un po’ soffocati dagli sceneggiatori che dettavano le storie. Bianconi, invece, mi diede carta bianca. Così ho potuto lavorare sul cavernicolo muto Ursus e i due topini Alì Salam (che oggi vengono tacciati addirittura di anti islamismo!). E poi Napoleone Sprint, lo stereotipo del guidatore esaltato; Nerone, personaggio che ce l’aveva con tutti. Feci anche Pierino, che fu una pubblicazione tutta mia, durata 14 numeri. Le storie erano abbastanza innovative e per me si trattò di una fase di rodaggio che mi portò a una concezione diversa di sceneggiatura.

E in Bianconi lavoravi anche tu, Sandro…
Dossi: Sì, io ero ancora impegnato nello studio grafico quando venni a sapere che Pier Luigi Sangalli aveva cominciato l’attività di fumettista. Non lo conoscevo ancora, ma mi presentai e lui mi propose di aiutarlo nel suo lavoro per Bianconi occupandomi del passaggio a china delle sue tavole ne fui molto contento. Lui aumentò la sua produzione e io imparai il mestiere, e conobbi direttamente Bianconi. Dopo qualche tempo gli chiesi di poter anche disegnare delle storie: cominciai a lavorare su Felix, poi Braccio di Ferro e quindi soprattutto su Geppo.

sbam_dossi_braccio_ferroIl resto è storia, come si dice.
Motta: All’epoca in Bianconi ad occuparsi di soggetti e sceneggiature c’erano lo stesso Sangalli e Nicola Del Principe: ciò che contava era il numero di produzioni e a volte si andava così veloci da non avere il tempo di curare troppo le sceneggiature. Io cercai allora di creare uno stile più uniforme in tutte le produzioni: almeno per una decina di anni, io smisi di disegnare e iniziai a sceneggiare tutto. Quando si fa una cosa più intensamente, il risultato di solito è migliore e nuove idee vengono fuori. Tra gli altri autori, quello che ha seguito di più questa nuova concezione è stato proprio Sandro, con le storie di Geppo che hanno fatto un salto di qualità. Lui era uno che si documentava su Carpi e altri grandi; prendiamo per esempio la storia di Geppo su Frankenstein: è il massimo per sceneggiatura e la realizzazione è decisamente più curata rispetto al passato. Bianconi non era molto d’accordo, perché lui tendeva a semplificare le vignette così da produrne di più.
Dossi: Per Bianconi si arrivava a realizzare anche 120 tavole al mese! Per un po’ commettemmo anche l’errore di utilizzare carte più leggere, più comode e “rapide”, e che costavano anche meno. Ma che si deterioravano anche facilmente…

Come è finita l’esperienza di Bianconi?
Motta: Avevamo creato una struttura produttiva che funzionava bene, ma non poteva reggere ancora per molto quel ritmo. Arrivarono altri autori e venne lanciata un’ondata di nuove pubblicazioni, non tutte all’altezza. L’armonia si era rotta e ognuno di noi si è trovato a lavorare da solo. Questa invasione di personaggi fatti solo per la quantità portò lentamente al declino della casa editrice, iniziato negli anni Ottanta e terminato nel 2000, con la chiusura della società. L’ultima cosa che ho realizzato per Bianconi è stato Big Robot, alla fine degli anni Settanta/inizio Ottanta.

Se doveste citare il vostro personaggio preferito tra tutti quelli cui avete lavorato?
Motta: Sono talmente tanti… Forse Big Robot…
Dossi: Certamente Geppo!

(Antonio Marangi)