È una sfida titanica, quindi non ci provo neanche: parlare dei Peanuts proponendo aspetti o punti di vista che non siano già stati detti, citati, sviscerati, analizzati da qualcuno. Si tratta infatti di uno dei gruppi di personaggi in assoluto più diffusi e conosciuti nel mondo, sui fumetti ma anche in qualsiasi tipo di gadget, diari, quaderni, magliette, poster, giocattoli, pupazzi e chi più ne ha più ne metta. Fiumi di inchiostro sono stati versati per esaminare gli aspetti psicologici della coperta di Linus (diventata addirittura un modo di dire), delle mille sfaccettature di Snoopy, del perfetto ritratto dell’uomo medio rappresentato da Charlie Brown, in cui chiunque può dire – o ha detto – di rivedersi perfettamente.
La striscia era stata creata nel 1950 dall’americano Charles Monroe Schulz (1922-2000) che ha continuato a disegnarla fino alla fine: anzi, l’ultimissima striscia è stata pubblicata postuma il 13 febbraio del 2000, il giorno dopo la sua scomparsa.
L’autore aveva affidato alla macchina da scrivere di Snoopy il suo saluto allo sterminato pubblico dei lettori dei Peanuts, senza ovviamente immaginare si trattasse di un saluto davvero definitivo: “Cari amici, ho avuto la fortuna di disegnare Charlie Brown e i suoi amici per quasi cinquant’anni. È stata la realizzazione del sogno che avevo fin da bambino. Purtroppo, però, ora non sono più in grado di mantenere il ritmo di lavoro richiesto da una striscia quotidiana. La mia famiglia non desidera che i Peanuts siano disegnati da qualcun altro, quindi annuncio il mio ritiro dall’attività. Sono grato per la lealtà dei miei collaboratori e per la meravigliosa amicizia e l’affetto espressi dai lettori della mia ‘striscia’ in tutti questi anni. Charlie Brown, Snoopy, Linus, Lucy… non potrò mai dimenticarli…”. Nessuno infatti ha più realizzato queste strip (anche se qualcun altro ha pensato ad avventure lunghe…), e le strisce continuano ad essere ristampate nelle più diverse edizioni.
Ma dire qualcosa di nuovo sui Peanuts, scrivevo all’inizio, è impresa titanica: l’unica possibilità è quindi un riferimento assolutamente personale. “Conobbi” Charlie Brown quando ero piccolissimo, quando sapevo leggere appena (e pronunciavo il suo nome come si scrive, Carliebrovn): me lo “presentò” mia madre, che ne era grande lettrice. Era un bel momento per me quando – di tanto in tanto – si andava a far la spesa in un grande magazzino poco distante da casa (i centri commerciali di oggi erano inimmaginabili, parliamo dei primi anni Settanta). E lì c’era un bel settore-libri in cui facevano bella mostra i volumetti che Rizzoli dedicava ai Peanuts, nella serie Bur. Quando facevamo la spesa laggiù, facilmente ci scappava il libretto nuovo, costava meno di 1000 lire (ma poi aumentò anche fino a 3500) e mi piaceva molto colorarlo (orrore!). I volumetti della Bur erano molto ben fatti, eleganti nella fattura seppure di una collana economica. Dividevano le strisce secondo l’argomento: ecco quindi il volume dedicato a Snoopy nei panni di Joe Falchetto o in quelli dell’Asso della Seconda guerra mondiale, il volume per la coperta di Linus e quello per la passione che accomuna tutti i Peanuts per il baseball, gioco così misterioso per noi italiani. E poi era uscito quello centrato sul grande amore di Charlie Brown, la misteriosa ragazzina dai capelli rossi, o sulla dispotica Lucy nei panni della psicologa da strada a 5 centesimi a consulto. E così via. Non sempre capivo le battute, soprattutto quelle che vedevano Charlie Brown appoggiato al muretto filosofeggiare con Linus. Né capivo bene che cavolo ci facesse lo stesso Linus nell’orto dei cocomeri ad aspettare questo Grande Cocomero che non arrivava mai…
Eppure non riuscivo a non leggerli, quei fumetti avevano il potere di assorbirmi, tanto quanto gli albi Bianconi, addirittura più del sempiterno Topolino. Certo, il massimo era Snoopy perché giocava, giocava sempre, come me, come ogni bambino che io conoscessi. E come Woodstock.
Poi, con gli anni, arrivai a leggere i significati più profondi della striscia, a guardare molto diversamente lo scambio di battute tra la modesta Piperita Patty e l’arcigna Marcie, i sogni di Snoopy – quelli che finiscono quando prende a calci la porta con la scodella della cena in bocca –, l’infelicità di Lucy davanti al pianoforte dell’incolpevole Schroeder (mammia mia, quanto è fissato!), la nuvola di polvere di Pig Pen, i dubbi e le paure di Linus che trova rifugio in un orto, il perenne senso di fallimento di Charlie Brown, con la mazza da baseball come con i risultati scolastici.
E qualcuno mi spiegò che è proprio da qui, da questa molteplicità di livelli di lettura, da questo essere adatto a tutte le età e culture, che viene la grandezza di questo fumetto, di questa vera opera d’arte e di un maestro come Charles Monroe Schulz.
(Antonio Marangi )