Diabolik visto da Fabio Margarita per la cover di Sbam! Comics nr. 2 (marzo/aprile 2012)

Un classico del fumetto italiano come Diabolik ha certamente già fatto versare i classici fiumi d’inchiostro. Ma ecco, per i lettori di Sbam!, un punto di vista diverso e innovativo: quello di Emiliano Ventura, saggista e scrittore. Il suo articolo è disponibile nella sua integrità sul nr. 10 di Sbam! Comics (scaricabile liberamente da qui), ne anticipiamo qui la prima parte.

Poche cose riescono a sedurre meglio la fantasia più dell’abilità funambolica del furto perfetto. Chi non ha immaginato di indossare i panni scuri di notte, che come dice il bracchetto Snoopy non può che essere ‘buia e tempestosa’, e di partire per la realizzazione del piano criminale perfetto?
L’affronto al potere costituito, alle istituzioni, agli organi di controllo, è un archetipo che arriva dalle cronache mediavali britanniche con i riferimenti a quel outlow (fuori legge) Robert Whood di cui tratterà la leggenda divenendo Robin Hood. Di questo topos letterario si impossessano due sorelle, Angela e Luciana Giussani, che, nel ‘62, creano quel personaggio ancora oggi preferito da molti lettori: Diabolik. Insieme ai successivi Kriminal e Satanik andava a formare una leggendaria trilogia del K. C’è una tradizione di eroi neri o dal fascino satanico radicata e molto praticata in Italia, il brigante riscuote sempre più simpatia del tutore della legge.
Penso al Catilina della fine della Repubblica romana, il cospiratore sanguinario descritto da Cicerone e da Sallustio diviene protagonista di drammi e poi di romanzi. Penso al brigante Ghino di Tacco in terra toscana che di recente è stato portato anche a teatro. Nelle montagne del piemonte è ancora venerato Fra Dolcino, un frate eretico che attaccava e criticava la ricca e opulente Chiesa. In una canzone molto famosa, e in una recente serie per la TV, rivive la leggenda del bandito Sante Pollastri, amico del campione di ciclismo Girardengo. Insomma il fascino del brigante e del ladro gentiluomo che sta dalla parte dei poveri o dei deboli non è mai tramontata; che poi la realtà sia ben più complessa è un altro discorso, la leggenda e la narrativa di intrattenimento si alimentano da questa fonte con grande successo.
Innumerevoli i pomeriggi passati a leggere quel giornalino di formato tascabile con copertine nere e immagini di pugnali e sangue, tanti i ricordi con cui Diabolik ha scandito il doposcuola, e a volte anche le ore di lezione, di due generazioni di italiani.
Una Jaguar nera con cui fuggire, una donna bionda, Eva, con cui condividere i colpi e un acerrimo nemico, Ginko, da evitare, ma soprattutto quel costume (rigorosamente nero) che cela l’identità, la maschera che rende diversa una persona.
Con il costume il giovane Peter Parker diviene l’eroe Uomo Ragno, il timido Clark Kent, togliendo gli occhiali e il cappello borghesi, si trasforma in Superman, ma soprattutto l’impacciato e pauroso Don Diego de La Vega diviene di notte e con la maschera nera il temibile Zorro.
Il costume lascia emergere il lato più notturno e nascosto dell’uomo, senza identità una persona (che in latino vuol dire proprio ‘maschera’, come vedremo meglio dopo) affronta il male senza paura di essere sconfitta o affronta l’ordine costituito senza paura di essere riconosciuta.
Vi è un gusto di impunità che è insito alla maschera stessa: nel carnevale veneziano erano concessi eccessi sessuali grazie all’anonimato delle mascherate, e chi non ha provato un brivido di piacere e di trasgressione indossando la mascherina nera o un costume intero che ci rendesse irriconoscibili? Se sentiamo pronunciare contro di noi la frase “chi sei?”, sentiamo un brivido narcisistico legato all’impunità, il non essere conosciuti rende possibile ogni azione, anche quella legata agli istinti più bassi.
Il vestito comune o l’abito borghese assomiglia all’uniforme degli eserciti che sono l’esatto contrario dell’unicità e dell’anonimato. Il fazzoletto sul viso o la maschera ci consegnano al regno della fantasia e delle ‘audaci imprese’.
Come in pochi altri fumetti, la maschera ha un ruolo primario in Diabolik, che usa una resina modellante trasparente simile alla pelle, così da assumere qualsiasi identità.
Ecco il successo di questi eroi-antieroi in maschera; non avrò mai il coraggio di svaligiare la gioielleria sotto casa o di ripulire il caveau della banca centrale, ma lascio che sia Diabolik con la sua identità celata dal costume nero a farlo per me.
Per chi abbia seguito da vicino la redazione di questo fumetto, rimangono memorabili le riunioni per la stesura della trama.
Le sorelle Giussani, una vita dedicata al fumetto senza mai prendersi una vacanza, si servivano di diversi collaboratori esterni, tra cui poliziotti e medici legali, e poteva capitare di ascoltare conversazioni del genere: “Senti caro, ho bisogno del tuo aiuto, ho un cadavere in salotto e devo coservarlo per almeno tre giorni”, oppure: “Come posso uccidere una persona senza lasciare nessun segno sul corpo?”.
Diabolik nasce dalla geniale idea di queste due signore. Oltre al soggetto, va ricordata l’intuizione del formato mini dell’albo stesso, piccolo e pratico, adatto alla frenesia del trasporto urbano. Molte altre professionalità, si diceva, si sono messe a disposizione per questo criminale affascinante. Seducente ma non simpatico, privo del senso dell’umorismo, Diabolik ama profondamente la sfida, la competizione con colui che detiene un qualche gioiello o prezioso. La sua preparazione al furto ricorda molto la dedizione di un bravo operaio o di un impiegato in carriera, una buona morale per l’Italia del boom economico.
Più è difficile il colpo e più Diabolik si esalta: più che l’oggetto trafugato in sè, più o meno unico e prezioso, è la sfida con il suo possessore a muovere il suo desiderio di successo, più che la riuscita del colpo è l’arditezza dell’azione a essere veramente importante.
Vi è qualcosa di estetico in questa azione che la riconduce al termine greco tyche, parola carica di sfumatore che viene usata per designare un’azione priva di uno scopo finale ma che trova finalità nella sua realizzazione; è per questo usata per definira l’azione del danzatore piuttosto che l’azione del pilota di una imbarcazione che ha nella riuscita il suo scopo (telos).
Così per Diabolik il possesso dell’oggetto trafugato è secondario all’azione del colpo stesso, ma l’assistere a questa azione è un piacere che ci accompagna da quasi mezzo secolo.
(Segue su  Sbam! Comics  nr. 10, scaricabile liberamente da qui).

(Emiliano Ventura)