Moby Dick è stata – finora, ovviamente – l’ultima Grande Parodia disneyana, uscita subito dopo i festeggiamenti per il nr. 3000. La Sbam-redazione ha avuto il privilegio di parlarne direttamente con il suo creatore, Francesco Artibani, ormai a pieno titolo nel novero dei grandi sceneggiatori italian-disneyani. Ecco una sintesi della nostra chiacchierata (la versione completa dell’intervista e molto altro materiale su Moby Dick è disponibile sul numero 10 di Sbam! Comics, scaricabile da qui).

A prima vista, un romanzo avventuroso sembra facile da trasporre (in film, in fumetto), ma nel caso di Moby Dick le cose si complicano perché l’avventura si risolve nel finale e il resto del libro è una lunga riflessione sui più disparati argomenti, di importanza fondamentale ma sostanzialmente “intraducibile”. Come è stato superato questo scoglio?
L’opera di Melville, anche se spesso ce la presentano come una storia d’avventura, non è L’isola del tesoro di Stevenson, è un romanzo densissimo e complesso che contiene anche delle parti più movimentate e avvincenti ma racconta essenzialmente il lungo viaggio di molti personaggi, un viaggio che è soprattutto interiore.
Questo aspetto contemplativo di
Moby Dick, insieme a tutte le lezioni di cetologia e le digressioni filosofiche, rappresentava un grosso ostacolo, uno di quelli che puoi soltanto aggirare e così ho fatto. Ho cercato di trasformare le complicazioni di Moby Dick in opportunità, provando a rispondere con delle soluzioni disneyane a quello che altrimenti non avrei potuto mettere in scena. Ogni problema (le scene di caccia alla balena, il tema della morte, il finale tragico di Achab e dell’equipaggio del Pequod) conteneva anche la sua soluzione. Il non poter fare qualcosa suggeriva allo stesso tempo una via d’uscita e a indirizzarmi in questo lavoro sono stati proprio i personaggi disneyani che, con loro caratteristiche, guidavano la scrittura.

Quale, tra i caratteri del romanzo, si è prestato meglio a diventare personaggio del fumetto? E quale è stato il più difficile da rendere?
Sicuramente Achab, Ismaele e Queequeg sono stati i tre personaggi di riferimento e nella loro interpretazione Paperone, Paperino e i tre nipotini hanno dato il meglio… I caratteri di questi paperi disneyani si prestavano benissimo e trattandosi di un adattamento abbastanza libero ho potuto ripescare certe caratterizzazioni tradizionali (penso all’indole ostica di Paperone o al rapporto tra Paperino e i nipotini pestiferi e maligni, come quelli delle loro prime apparizioni nei fumetti e nei cartoni animati). Mi dispiace non aver approfondito maggiormente gli altri comprimari come Paperoga, Archimede e Ciccio ma lo spazio era abbastanza limitato. Se ho un rimpianto è per loro…

Come è avvenuta la scelta del disegnatore? Qual è la caratteristica di Mottura che ha portato a questa selezione?
Con Paolo siamo amici da molto tempo e l’incontro su Moby Dick è stato casuale, a Lucca, un paio di anni fa. Ci siamo incrociati per caso e gli ho raccontato dell’idea che avevo appena presentato alla redazione. Paolo si è immediatamente candidato e la settimana successiva è arrivato negli uffici di Topolino per confermare il proprio interesse. La redazione fortunatamente lo ha accontentato e il risultato è arrivato a destinazione sulle pagine dei numeri 3003 e 3004 dell’albo. A convincere tutti, oltre alla bravura di Paolo, credo sia stata proprio la sua capacità di reinventarsi in ogni storia ponendosi sfide sempre nuove e riuscendo a superarle ogni volta. Moby Dick era una storia complicata da rendere e dunque era indispensabile un disegnatore ancora capace di mettersi alla ricerca di qualcosa, un segno, un effetto, un tratto. Paolo è stata la scelta migliore.

Una parola anche su Mirka Andolfo, ottima colorista (e non solo, per altro) ormai in pianta stabile sulle storie più importanti.
Mirka è un’artista bravissima e completa, non soltanto una colorista come giustamente ricordi. L’avevo già vista all’opera su altre storie disneyane (dal ciclo dedicato alla storia dell’arte scritto da Roberto Gagnor fino allo splendido Dracula di Bruno Enna e Fabio Celoni) e ogni volta mi aveva colpito con il suo lavoro. In poco tempo poi ho avuto la fortuna di collaborare con lei in tre storie particolari come Topolino e la promessa del gatto, la stessa Moby Dick e Zio Paperone e il tiranno dei mari realizzata per il numero 3000 del settimanale. Spero di poter avere ancora l’occasione di poter lavorare con lei in futuro!

Moby Dick è il simbolo del sogno irrealizzabile, del desiderio irraggiungibile. Qual è il sogno nel cassetto di Francesco Artibani?
Devo dire che cerco di tenere il cassetto sempre vuoto, cercando di realizzare tutte le cose che immagino e progetto, da solo e con mia moglie Katja Centomo. Sul fronte disneyano ci sono alcune idee già uscite da quel cassetto e che presto dovrebbero concretizzarsi e lo stesso vale per le altre iniziative a fumetti e per l’animazione. Se proprio devo dirlo, un sogno che ho da tempo è quello di realizzare un lungo racconto con i personaggi Disney come fosse un albo bonelliano, 94 pagine di avventura inedita, una bella storiona autoconclusiva in cui mettere tutto quello che mi piace…

Grazie ancora al disponibilissimo Francesco. Per chi volesse approfondire il tema Moby Dick dal punto di vista più strettamente letterario, rimandiamo alla recensione di Paolo Pizzato su Il Consigliere Letterario.

(02/07/2013 • Antonio Marangi)